Dall’ autobusse di torquato ai pullman transeuropei
Da “Mille anni Mille sassi , Storia e storie di Laterina e della sua gente” di Giovanni Nocentini
E’ piccola solo in apparenza la storia artigiana di Laterina, giacché appena 50 anni fa l’artigiano e il contadino (non esisteva allora il coltivatore diretto) costituivano gli elementi trainanti della nostra Economia locale ; il primo con molto più credito del secondo, se non altro perché denotava il possesso di un’Arte non a tutti concessa, oltre ad un’autonomia ed un prestigio che non erano neppure immaginabili per un contadino che si portava dietro (e prima di tutto dentro la sua testa) l’eredità negativa, autolesionista, rassegnata a mangiare le mele bacate per decreto divino, che lo rendeva succube del padrone, ma soprattutto del Fattore, della Fattoressa, del Sottofattore, del “terzomo” e del Guardia. Ma che, tuttavia, aveva, nella massima parte dei casi, un tale bagaglio di umanità che è un patrimonio perduto forse per sempre. Laterina vanta oggi – ad esempio- nelle Autolinee Fabbri una delle più note e moderne aziende di servizi turistici e di linea del Territorio ed oltre. Ma sono rimasti certamente in pochi a conoscerne l’origine più remota.
Fu Torquato il capostipite dell’Azienda, anche se lui non avrebbe mai osato immaginare -mentre nel suo calesse caracollava sui ciottoli della salita sterrata del Ponte Romito- che un giorno quella sua iniziativa si sarebbe estesa attraverso i figli e i nipoti, alle strade di tutta Europa. Cominciò appunto con quel calesse, quando sposò Assunta Fazzuoli figlia di Cecchino Stefanelli, di professione seggiolaio e “procaccia a tempo avanzato”. Ne aveva avuto la concessione governativa fin dalla fine dell’Ottocento, per esercitare la mansione di “Procaccia Postale” in servizio tra la stazione ferroviaria di Laterina Stazione e Laterina Capoluogo: un servizio da esercitare (come pretendeva la concessione), col cavallo.
-“Fate fare un po’ di seggiole, ragazzi, prima che muoia Cecchino”- ripeteva ogni tanto Mandrèga, un contadino della zona, ai suoi familiari – (neanche presentisse che, morto lui, chissà se ce ne sarebbe stato un altro…) Era un artista Cecchino di Stefanelli a far seggiole di legno e di paglia (che a quei tempi erano le uniche in circolazione e che oggi – con il dilagare dei laminati plastici e della fòrmica- costerebbero un occhio della testa…) e tra una seggiola e l’altra, attaccava il cavallo d’ordinanza e faceva il “procaccia” (che sarebbe il Corriere di oggi), naturalmente per brevi percorrenze locali, la più comune delle quali, il servizio di linea tra il paese e la Stazione ferroviaria di Laterina (oggi Montalto) a sette chilometri dal Centro abitato.
Dopo le sue nozze con l’Assuntina, Torquato Fabbri incrementò il “servizio” espletato fino ad allora dal suocero, fino a sostituire il cavallo con un’automobile, attorno al 1930. In seguito quell’auto diventò una Corriera (storica, epica e soprattutto indimenticabile, “l’Autobusse di Torquato”, blu , goffa e tozza come una mucca per le strade di Calcutta) e che, col figlio Valerio – che ha portato ovunque ed in prima persona, infaticabile, intere generazioni di gitanti, da vero titano del volante in una terribile scarsità di supporti a confronto con quelli di oggi che, oltre che alla telefonia cellulare, dispongono della programmazione computerizzata degli itinerari e dei navigatori satellitari -fece fronte a tutte le esigenze di collegamento con le Ferrovie e le Poste, le Scuole della Provincia, i Mercati, i Pellegrinaggi ai Santuari..
Oggi dispone di un notevole “parco macchine dernier cri”, in mano al figlio Valter detto “Giorgione”*, che molti erroneamente ritengono, in omaggio alla madre Giorgia, a lungo tempo infaticabile “hostess” della Ditta, abile organizzatrice e “Travel Manager” a 360°, e che attualmente è in grado di “coprire” l’intera Europa.
Al di là delle grandi storie ufficiali a disposizione delle grandi firme e che vengono tramandate ai posteri sia attraverso i “testi”, sia attraverso le memorizzazioni elettroniche, sono queste le storie che rischiano di scomparire e che sono invece, le testimonianze più vere delle nostre radici, quelle da cui deriva la cosiddetta “Cultura” di un popolo e che in molti casi ci affanniamo a disseppellire, scavando nella nostra memoria, quando è troppo tardi.
(*)”Giorgione” (dal padre Giorgio) era detto un ragazzotto, un po’ strullo, che abitava in piazza e che all’arrivo della corriera si faceva trovare sempre pronto per recapitare la merce ai bottegai. Quando il rampollo Valter Fabbri crebbe, ereditò dal quel ragazzo sia la mansione di fattorino che il nome. Lo strullo, però, lo lasciò a lui.